La variazione di scala mappa-rilievo? Una boiata pazzesca!

Ciao a tutti,
recentemente ho partecipato su un altro forum ad una discussione sulla variazione di scala da applicare, o meno, nelle riconfinazioni di linee da mappa d’impianto. Come qualcuno di voi sa bene, in quel forum io non risulto “molto simpatico” (eufemismo) per cui, quando i miei interlocutori non sono più in grado di rispondere alle mie osservazioni tecniche, mi rispondono con insulti e insolenze varie, al che io abbandono la discussione, come ho fatto anche in questo caso.
Tuttavia desidero riportare qui i passaggi tecnici di quel topic perché riguarda una procedura che ritengo importante nella ricostruzione di confini da mappa, la variazione di scala, la cui applicazione in quel forum è stata paragonata alla “boiata pazzesca” del famoso film di Fantozzi (lì hanno usato termini più volgari).
Sarò ovviamente grato a chiunque, dopo aver letto questo lungo topic, volesse dire la sua in merito.


La discussione in realtà era partita da un caso di riconfinazione da TF post-2/88 posto da un collega al quale ho risposto anch’io suggerendogli come poter risolverlo usando semplicemente Pregeo e il CAD. Poi però un geometra della mia zona (Veneto, che chiamerò semplicemente con l’iniziale M per mantenere l’anonimato) mi ha interpellato espressamente chiedendomi:

Questa la mia risposta (GR):

A questo punto della discussione è subentrato un altro forumista (qualificato come “Guru” in quel sito) che identificherò con la lettera C.

N.B.: a questa domanda non è stata data alcuna risposta

N.B.: a questa mia richiesta non è seguito alcun esempio a supporto della mancata applicazione della variazione di scala

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Ciao Gianni,
l’argomento della variazione di scala è un argomento complesso e che può generare situazioni di contraddittorio con controparte.

A mio parere la variazione di scala è un paramento fondamentale della rototraslazione ai minimi quadrati che ci da immediatamente il parametro di deformazione che esiste tra il poligono dei punti di appoggio e identico poligono definito dalle coordinate mappa.

A questo punto, dopo averlo calcolato, si pone il problema se applicarlo o non applicarlo alle coordinate dei punti del confine da ricostruire.

Qui la situazione a mio parere è molto delicata ed i pareri che ho riscontrato in questi anni sono diversi.

Io personalmente, nella ricostruzione cartografica del confine, tendo ad applicarla quando:

  1. Il confine è ben contornato da punti di inquadramento,

  2. La variazione non incide in modo notevole sugli adattamenti dei punti del confine (max 10/20 cm), per questo è stato molto utile lo sviluppo dei calcoli e dei risultati fatto in Geocat negli ultimi anni.

Ovviamente, in questi casi, pur ritenendo più corretto applicare la variazione di scala, posso anche accettare in contraddittorio di mediare la posizione con un collega che ha determinato il confine con metodi e calcoli validi e che non usa la variazione di scala.

N.B. nei casi di riconfinazione da mappa, ovviamente do per assunto che il confine è di tipo cartografico, e quindi come i punti di appoggio, non definito da misure certe, (come invece è stato riferito nella discussione su altro forum). Situazione che implicherebbe un altro tipo di approccio e ragionamento.

Ritengo invece tendenzialmente da non usare la correzione dovuta alla variazione di scala sui punti del confine, nei seguenti casi:

  1. Quando l’applicazione del coefficiente di scala determina spostamenti troppo eccessivi sui punti del confine, io direi sopra i 25/30 cm, al massimo, perché ritengo che in questi casi bisogna verificare il perché del problema e vedere se tale soluzione non possa determinare in contraddittorio contestazioni che difficilmente si possono sostenere con argomentazioni valide.

  2. Quando il confine risulta eccessivamente estrapolato dal contesto dei punti di appoggio, e quindi la variazione di scala si riferisce ad un altro contesto di mappa e non a quello ove ricade il confine.

In questi casi la rototraslazione rigida risulta il calcolo più sicuro e comporta minori problemi in contraddittorio.

Questo è in modo molto veloce ed approssimativo il mio pensiero.

Un saluto

Ciao Gianni
ovviamente l’aspetto della variazione di scala non a tutti è di facile comprensione. Il problema principale è forse il fatto di ritenere che la mappa (generico) corrisponda perfettamente alla realtà e quindi scalare ulteriormente una mappa che è già in scala può risultare difficile da capire.

Nel caso della mappa catastale si deve innanzi tutto riportare il quadrante parametrico alle sue dimensioni canoniche (non direi originarie poichè magari anche in origine non erano i 10x10) con la parametrica.
Fatto questo abbiamo nel miglior modo possibile riportato la mappa nella condizione in cui è stata disegnata (rimangono errori grafici di disegno e a monte di misura sui quali non possiamo intervenire se non scartando dei punti : ecco che battere molti punti come faccio io torna sempre utile).

Fatto questo però se confrontiamo punti rilevati e punti prelevati da mappa non avremo mai una corrispondenza perfetta perché la mappa non essendo la realtà risulta leggermente scalata rispetto ad essa.

Qui entra in gioco la variazione di scala che riporta la posizione di tutti i punti sia quelli di inquadramento che quelli di tracciamento sulla realtà dei luoghi e non sulla ricostruzione cartografica.

Lampante è l’esempio dell’ottagono che hai fatto sopra.

Sono comunque concetti che a una controparte (il 99% dei casi?) che voglia contestare il tuo operato mette male far capire specie se non ha le basi necessarie come spesso accade. Ci vorrebbe tempo e disponibilità della controparte ad ascoltare, ma tramutiamo sempre tutto in soldi e dato che sono sempre pochi spesso si cerca una soluzione magari anche sbagliata, mediando dove magari non occorrerebbe, basta finire in fretta.

Manca sempre la volontà per cercare di capire le tesi altrui: ci si adagia sul “ho sempre fatto così” e non si cerca di comprendere qualcosa di diverso dalle nostre convinzioni.
Quando non si capisce invece di chiedere spiegazioni e cercare di approfondire si contesta a priori. si ragiona così: tu dici A io dico B quindi B è giusto ed A sbagliato : dimostrami tu che A è giusto, quando invece dovrei essere io a dimostrare che il giusto è B.

Siamo nel paese degli avvocati che contestato tutto a priori indipendentemente che si abbia o no ragione e questa mentalità è passata purtroppo anche ai tecnici.

E quindi la teoria a volte rimane tale, tanto studio, tanti sforzi e poi quando si scontra con la realtà frenetica del mondo odierno viene mediata con il tempo da perdere per far valere le proprie ragioni , i prezzi bassi fatti per prendere un lavoro , il cliente che vuole spendere poco anzi meno…

Tecnicamente la variazione di scala la condivido e la applico sempre anche quando “sposta” i punti di entità maggiori di quelle che dice Sergio ma comprendo benissimo il suo discorso pratico di mediare con chi non la applica. Devo dire che se si battono molti punti di inquadramento, ben distribuiti attorno zona di rilievo in modo che essa sia in prossimità del baricentro, dove gli effetti della variazione di scala sono più esigui, si riesce ad avere spostamenti molto contenuti.

La base per fare un buon lavoro è la corretta programmazione del rilievo, con sopralluoghi accurati e studi preliminari a tavolino delle geometrie… e invece ancora molti partono e improvvisano in campo. Il tempo “perso” in fase ricognitiva si recupera in fase di “rilievo” aumentando sopratutto la qualità del lavoro.

Mi viene infine un dubbio concettuale: ma allora a rigor di logica non andrebbe applicata anche nella ricostruzione di un libretto Pregeo post 88? E’ vero che il confronto di due rilievi è il confronto della stessa realtà, però anche se di poco essi non saranno mai corrispondenti in tutto e per quanto piccolo generano tra loro un seppur minimo fattore di scala che anche se applicato non andrà mai a spostare significativamente nessun punto.
E’ però anche vero che dovrei tenere fisso il mio rilievo e scalare quello precedente o viceversa, ma sono due rilievi della stessa realtà per cui perchè dovrei dare più importanza ad uno rispetto all’altro?

Ciao Sergio e Roberto,
condivido tutto quello che avete scritto. Del resto su questo tema della variazione di scala, così come su tutti gli altri aspetti riguardanti le riconfinazioni, ne abbiamo parlato e ragionato insieme molte volte.

Infatti, quello che contesto agli interlocutori dell’altro forum è proprio la chiusura al confronto basato su parametri oggettivi e non soggettivi. Quei colleghi dimostrano cioè una totale repulsione alla verifica delle proprie assunzioni, basti pensare che ai miei inviti di postare esempi concreti su cui poter verificare la validità di non applicare la variazione di scala … non hanno risposto. Se lo avessero fatto, io sarei stato molto contento di poter approfondire i singoli casi e anche di dargli ragione se la verifica avesse portato a quella conclusione.

Invece non hanno nemmeno citato le circostanze descritte da Sergio nelle quali la variazione di scala può anche non essere applicata al fine di non inasprire il confronto con il tecnico di controparte per trovare una soluzione condivisa. Ha ragione Roberto quando dice che questi tecnici partono dal presupposto che, avendo sempre operato in un certo modo, non spetta a loro dimostrare che quella modalità non è propriamente corretta.

Fin qui può anche starci, ma allora uno dovrebbe essere disposto a seguire le tesi che gli vengono proposte e a rifiutarle, se del caso, con argomentazioni tecniche. Invece non sono disposti nemmeno a questo confronto e rifiutano qualsiasi tipo di verifica. La realtà di questi colleghi è quella che io ho detto direttamente a uno di loro (indicato con la lettera M nel mio post iniziale), e cioè:

Avete quindi ragione da vendere nel descrivere lo scoglio enorme di dover confrontarsi con un tecnico di controparte che ha la mentalità sopra descritta. Un po’ mi dispiace dover parlare di questo aspetto professionale anziché rimanere solo sul tecnico, ma credo che non si possa fare a meno di denunciare questo approccio dilettantesco e pressapochista.

Passando alla questione puramente tecnica, sono d’accordo con Sergio sul fatto che la variazione di scala vada innanzi tutto “controllata” prima ancora di decidere se applicarla o meno. Infatti, è proprio per questo che in Geocat ho implementato tutta quella serie di parametri che ne permettono la verifica, come i baricentri notevoli con le loro mutue distanze e, in primis, la misura dell’adattamento massimo che viene a subire il confine per effetto della variazione di scala stessa (evidenziato in questa immagine del calcolo della rototraslazione);

Sono d’accordo, Roberto. Anche secondo me, se le condizioni per l’applicazione sono rispettate (punti di inquadramento ben disposti attorno al confine, scarti buoni, confine in posizione baricentrica), la variazione di scala va comunque applicata anche se sposta il confine di entità maggiori a quelle indicate da Sergio. L’errore inconscio che facciamo in questo caso è forse quello di usare il verbo “spostare” perché questo può far pensare ad un’operazione scorretta. Sarebbe più corretto usare il verbo “adattare”, cioè il confine sulla mappa viene “adattato” alla realtà, non “spostato”.
Tuttavia capisco le ragioni di Sergio nel non dover trovarsi a discutere con chi non vuole sentire ragioni. Per dire, se ti trovi come controparte quel mio collega Bellunese M dell’altro forum diventa quello che in Vneto definiamo come: palar col musso, te perdi tempo e te fe rabiare a bestia (a parlare con l’asino, perdi tempo e fai innervosire la bestia).

Sulla questione dell’entità della variazione di scala, non posso poi fare a meno di citare la “sorpresa” che ho avuto (come immagino anche voi) dopo aver sviluppato il calcolo combinatorio delle rototraslazioni. Vale a dire la sua grande variabilità a seconda dei punti di inquadramento considerati. Infatti, nel lavoro di Roberto che ho presentato al seminario di marzo, è emerso che su 18 punti di inquadramento di cui mantenerne almeno 9, sulle oltre 155.000 combinazioni, la variazione di scala presentava un range che va da 0.000 (cioè meno di 1 mm (millimetro) al km a ben 4.215 metri al km):

Tant’è che c’erano molte combinazioni (con ben 10 punti di inquadramento) che davano una variazione di scala da zero a 3 mm (millimetri) al km, cioè inesistente:

Tutto questo per dire quanto non si finisca mai di imparare, a patto ovviamente che si abbia la volontà di studiare e approfondire costantemente le materie che sono oggetto del proprio lavoro. Il problema è che i miei amici dell’altro forum dimostrano come abbia ragione Gian Arturo Ferrari quando dice che in Italia …

Ciao Gianni, e Roberto,

condivido anche io quanto detto, e ritengo che sull’argomento, solo un sano e pacato confronto possa farci riflettere e apprendere.

Per curiosità sono andato a rivedere alcuni lavori da me eseguiti e la variazione di scala che ho ottenuto sono sempre abbondantemente nei limiti che ho indicato.

Unico caso in cui ho verificato un valore abbastanza elevato (58 cm), era un caso di confine i cui punti di appoggio erano ubicati su 4 fogli di 3 diversi comuni, e sul foglio del confine ho rintracciato come unico punto un termine, che seppur rietrava nelle tolleranze di calcolo non era sicuro fosse lo stesso dell’epoca di impianto. Per cui in quel caso ho preferito rinunciare ad utilizzarla.

Volevo sapere da te e Roberto, per mio interesse:

  1. nel caso che i punti sono posti su altri fogli, anche molto lontani tra loro o addirittura in altri comuni, come esempio precedente,
  2. nel caso di confine molto estrappolato rispetto al contesto di mappa e con punti di appoggio poco omogenei e lontani,
    ritenete corretto utilizzare la variazione di scala oppure preferite non utilizzarla.
    Grazie e buon lavoro

Ciao Sergio.

Per come la vedo io, si tratta di valutare bene tutte queste condizioni:

  1. se i punti di inquadramento, pur essendo su fogli/Comuni diversi (ma con la stessa origine naturalmente) sono ben disposti attorno al confine;
  2. se i punti di inquadramento danno scarti buoni;
  3. se il confine non è distante dal baricentro del poligono di inquadramento;
  4. se la variazione di scala non si discosta molto da 1 m/km;

Se tutte queste condizioni sono rispettate, allora la mia risposta è: sì, la variazione di scala va applicata. Se invece una o più condizioni viene a mancare, allora è corretto porsi il dubbio se applicarla o meno. In tal caso, per decidere, è ovviamente necessario ragionare sul caso concreto.

Tieni presente, Sergio, proprio il lavoro di Roberto trattato al seminario di marzo sul calcolo combinatorio (quello delle videate del mio post precedente). Se ti ricordi, da una prima elaborazione che aveva svolto Roberto (senza calcolo combinatorio) sembrava effettivamente che considerando solo i punti del foglio del confine si avessero scarti pari a circa la metà di quelli che si avevano considerando invece i punti anche dei fogli limitrofi. Ma poi l’applicazione del calcolo combinatorio ha dimostrato che quella risultanza era fallace e che, trovando la combinazione giusta, anche un insieme di punti distribuiti su più fogli dava gli stessi scarti bassi e dava (incredibilmente) anche molte combinazioni di punti con variazione di scala nulla.

Dopo di quel seminario non ho più avuto modo di fare altre prove, ma sono convinto che, se si ha a disposizione un numero congruo di punti di inquadramento che diano scarti accettabili, il calcolo combinatorio troverà quasi sempre (per non dire sempre, da verificare) la rototraslazione che garantisce un valore molto contenuto sia degli scarti che della variazione di scala.

Qui ritorno alle 4 condizioni che dicevo all’inizio, nel senso che ne vengono a mancare ben due: la 1 e la 3. Quindi si può anche decidere di non applicare la variazione di scala. Tuttavia se il confine fosse solo estrapolato, nel senso che i punti di inquadramento sono solo su uno o due lati dello stesso, ma fossero comunque sufficientemente vicini al confine e dessero scarti buoni, io sono del parere che la variazione di scala andrebbe comunque applicata, a patto ovviamente di essersi garantiti la correttezza della rototraslazione applicando la variante orientata, vale a dire avendo rilevato l’angolo (o preso con il GPS) ad un trigonometrico distante per correggere l’errore di rotazione.

Resto comunque convinto di quanto detto sopra, e cioè che se disponi di un buon numero di punti di inquadramento, il calcolo combinatorio ti trova comunque il sotto-insieme di quelli che ti danno una variazione di scala molto bassa. L’unica condizione che può sfuggire a questa risultanza è che la mappa si sia effettivamente deformata in misura abnorme, come nel caso di scansioni fatte male (tu in Piemonte ne sai qualcosa :slight_smile: ). Mi riservo di fare ulteriori prove man mano che mi vengono sottoposti casi di confini (per fortuna ne ricevo parecchi da molti colleghi di tutta Italia).

Buongiorno, io personalmente la uso sempre …

Riporto qui un ulteriore mio post sull’argomento che ho scritto sull’altro forum in risposta ad un collega, indicato con la lettere C. L’altro collega citato è indicato con la lettera M.

Ciao Gianni,
ovviamente concordo con quanto dici, e come ho già detto il controllo che ho eseguito ieri su alcuni miei lavori ha portato incidenze di spostamento del confine sempre entro limiti molto tollerabili.
Sicuramente avere a disposizione molti punti e poter scegliere le soluzioni migliori in termini di scarti e variazione di scala porta a definire situazioni ottimali.
Ma il problema, a mio parere ce lo dobbiamo porre quando le situazioni non sono ottimali (pochi punti) magari lontani e fuori dal contesto del confine cartografico da ricostruire.
In questi casi ritengo che bisogna porre un po’ più di attenzione e verificare, soprattutto se siamo in possibile contraddittorio, quale sia la soluzione migliore. Ma, dopo averla scelta, poter giustificare con altro collega il Ns operato.
E giustificare spostamente importanti (sopra i 40 50 centimetri) potrebbe essere un problema.
Un saluto

Ciao Sergio,
sono d’accordo, quando l’adattamento (come dicevo, io lo chiamerei così, non “spostamento” che ha un’accezione negativa) supera i 40-50 cm dobbiamo porci l’interrogativo di quale potrebbe essere la causa. È per questo che su Geocat, ad esempio, ho voluto esplicitare proprio il dato dell’Adattamento massimo del confine.

C’è tuttavia da tenere presente che, come è facilmente intuibile, variazione di scala e scarti vanno in genere di pari passo. Voglio dire, se hai scarti bassissimi, significa che la reciproca posizione dei punti di inquadramento tra mappa e rilievo è quasi coincidente, quindi hai anche una variazione di scala minima. Al contrario quando hai scarti alti, a meno che non siano tutti nella stessa direzione (cosa poco probabile), hai anche una variazione di scala altrettanto alta. In quest’ultimo caso, quindi, hai già di che preoccuparti degli scarti ancor prima del fattore di scala.

Hai ragione anche nel dire che nei casi più difficili quando i punti sono pochi e magari anche mal posizionati rispetto al confine, occorre fare molta attenzione e valutare bene la situazione. In questi casi, come dicevo, può essere corretto non applicare la variazione di scala.

Quello che contesto al collega M dell’altro forum è di affermare che la variazione di scala non va MAI applicata definendola una “cagata pazzesca”. Penso infatti che un geometra che si pone in questi termini di fronte ad una questione tecnica come questa dimostri, oltre che una scarsissima professionalità, una grande presunzione e il totale rifiuto ad ascoltare le motivazioni dei colleghi. È un atteggiamento che deriva dall’altrettanto totale mancanza di voler studiare e approfondire le procedure che riguardano il proprio stesso lavoro.

D’altronde, come dicevi sia tu che Roberto, sono proprio colleghi come questi che, quando te li trovi come controparte, rendono il confronto estremamente difficile a solo discapito di addivenire alla soluzione più precisa nella ricostruzione del confine. Io quindi cerco di combattere questa mentalità e sono certo che nel lungo periodo questi “terrapiattisti” andranno via via estinguendosi.

Ciao Gianni,
anche se con pochissimo tempo sto facendo una prova che potrebbe essere significativa.
Ho trovato un mio rilievo dove tra i punti di appoggio utilizzati ho rilevato alcuni punti di un fabbricato molto grosso vicino al confine e che non fanno parte del perimetro del poligono dei punti di inquadramento e le cui risultanze di scala e di scarti erano buoni.

La prova consiste nel:

  1. escludere dal calcolo quei punti (certi e rilevati) e farli divenire punti del confine,
  2. procedere con una prima elaborazione con variazione di scala e verificare lo scostamento tra il punto che avrei trovato, se tali punti fossero ignoti rispetto alla posizione reale rilevata e presente in loco,
  3. procedere con una seconda elaborazione senza variazione di scala e verificare come sopra la posizione dei punti,

Ovviamente il confine era ben interpolato ed il numero di punti di appoggio rintracciati ed utilizzati era superiore a 15 punti.

Questa prova dovrebbe consentire di valutare quale rilievo e metodo di calcolo è più efficace e fa avvicinare il punto ricostruito da mappa alla situazione dei punti realmente battuti.

Provo e vi faccio sapere.

Un saluto

Senza entrare nel merito del caso oggetto di discussione, penso che per ogni tipo di riconfinazione ci sia le tecnica più appropriata, quindi in alcuni casi di riconfinazione da mappa di impianto andrà bene la rototraslazione senza deformazione mentre in altri andrà deformata la mappa di impianto.
L’errore più frequente che viene fatto nelle riconfinazioni, è quello di ricondurre il tutto ad una tipologia/metodo universale senza tener conto delle possibili variabili.
Partire dal presupposto che “la mia riconfinazione è quella giusta e non vi sono alternative” l’ho sempre ritenuta la cosa più sbagliata.

Ciao Sergio,
ottima idea quella della prova che hai descritto.
Sarebbe bello poter disporre di altri casi come questo tuo per avere un responso statisticamente più significativo. Magari Roberto (Rena), che ha sempre tanti punti di inquadramento, potrebbe avere anche lui un caso analogo, cioè con punti di inquadramento in numero tale da formare, con alcuni, il poligono esterno e, con altri che ricadono all’interno del poligono stesso, da trattare come se invece fossero il confine. Proverò anch’io a guardare tra i tanti casi che ho se ce ne sono alcuni che hanno questa caratteristica.

Sergio, nel fare questa prova (veramente molto interessante), ti suggerisco, se hai punti di inquadramento in numero sufficiente, di applicare con Geocat il calcolo combinatorio per cercare la combinazione migliore sia in termini di scarti che di variazione di scala. Ti dico questo sempre memore del caso già citato di Roberto dove la variazione di scala era addiruttura zero o comunque di pochi millimetri al km pur con scarti molto buoni. È evidente infatti che se trovi il sotto-insieme di punti di inquadramento che ti dà sia scarti molto buoni che variazione di scala minima, quella è la soluzione da adottare.

Roberto (Ciucci),
sono d’accordo con te, ogni caso va analizzato per come si presenta. Ma questo vale nei due sensi. Se leggi gli scambi di messaggi sopra con Sergio, noi abbiamo cercato di esaminare le condizioni in cui la variazione di scala va applicata e quando è invece lecito porsi il dubbio se è più corretto non applicarla.
Infatti quello che io contesto è l’atteggiamento del collega M dell’altro forum quando dice che la variazione di scala non va MAI applicata e la definisce una “cagata pazzesca”.
A lui e anche all’altro collega C (tuo amico :slight_smile: ) avevo chiesto di postare dei casi in cui ritenevano che non andasse applicata. Ma non ho avuto alcuna risposta.
Non so se ti risulta evidente il diverso approccio che abbiamo io, Sergio, Roberto R. e altri che frequentano questo forum. Se abbiamo un interrogativo o un dubbio su una questione tecnica, cerchiamo di dirimerlo con prove concrete e verificabili. Quei colleghi, invece, si limitano a dire: è così perché lo dico io e … la variazione di scala è una cagata pazzesca. Mai che riportino un caso documentato a dimostrazione di quello che affermano. Ti sembra un approccio corretto?

Segio, non voglio entrare nel merito di quanto è stato dibattuto su altro forum perché non ho letto la discussione, ne commentare quello che sostengono persone qui non presenti.
Riguardo la variazione di scala penso che sia applicabile nel caso si cerchi la posizione di una dividente posta tra due fabbricati rilevati e presenti in mappa; mentre non la ritengo corretto nel caso si debba ripristinare un poligono tra due fabbricati. In quest’ultimo caso infatti, con la variazione di scala, si andrebbe a deformare anche la pozione delle linee perpendicolari rispetto ai vertici di appoggio (spero di essermi spiegato).
La variazione di scala viene comunque applicata anche ogni volta che “raddrizzi la mappa” in base alla grigli di riferimento.

Caio Roberto,
anche io non entro nel merito dell’altra discussione perche non l’ho seguita e non ho partecipato, io ho solo ripreso una discussione su un argomento che può essere importante, e come dicevo, a mio modestissimo parere, quando la stessa produce adattamenti modesti e l’utilizzo della variazione di scala, sia per che la applica che per chi non la vuole applicare, porta a discordanze sempre entro tolleranze accettabili e quindi non comporta grossi problemi nel contraddittorio.
Come dicevo, in questi giorni sto facendo alcune prove che metterò a disposizione in modo da poter ragionare e discutere pacatamente con i colleghi su un argomento interessante.

un saluto

Un saluto a tutti,
oggi sono riuscito a completare la mia prova sulla variazione di scala e devo dire che gli spunti che ne scaturiscono sono interessanti e utili, perché ci si riferisce ad un caso reale.
Nei prossimi giorni metto in ordine il materiale e posto i risultati sul sito.
Un saluto e buona domenica

Salve,
la prendo un po’ alla lontana poi arrivo al punto, perdonatemi.

Nella formazione della mappa catastale era obbligatorio ripartire le “differenze” nella chiusure di allineamenti/poligonali sui punti noti appartenenti ad una classe di punti di pari o superiore categoria, a condizione che rientrassero nelle tolleranze ammesse e quindi definibili errori di tipo accidentale.
Poligonali principali orientate ed appoggiate sui trigonometrici, poligonali secondarie su vertici di poligonali principiali, poligonali di dettaglio (che collegavano vertici appartenenti anche a poligonali diverse) … fino al rilievo particellare con gli allineamenti e/o stazioni tacheometriche (e/o quello fotogrammetrico, che però non ho mai approfondito).
TUTTE le differenze analitiche o grafiche, se in tolleranza, si ripartivano. In gergo catastale si “compensavano”.
Compensare le differenze significa riportarne l’entità fra i vari elementi di una figura, per evitare che tali differenze rimangano concentrate solo in qualche porzione della figura stessa.
Nel rilievo di dettaglio ma anche in quello d’inquadramento, di fatto la compensazione può essere vista come l’applicazione di un coefficiente lineare che si ottiene dal rapporto distanza nota (cartografica o analitica conoscendo le coordinate) e distanza misurata. Per le poligonali (trascurando l’eventuale orientamento, solitamente poco influente) la distanza è misurata indirettamente, misurata invece direttamente per gli allineamenti.
Mi sembrano concetti semplici, che abbiamo tutti studiato a scuola.

Ho sempre pensato che questo “coefficiente lineare di compensazione” sia molto simile alla “variazione di scala” di cui si sta discutendo.

Oggi utilizzando molti punti di appoggio contemporaneamente possiamo ricavare i parametri di rototraslazione medi della zona d’interesse, tra cui il “coefficiente lineare di compensazione” MEDIO, che è la tanto odiata “variazione di scala”.

Dire che la “variazione di scala” sia un concetto che nulla ha a che fare con la formazione delle mappe, a mio avviso non è quindi corretto.

In linea di principio e parlando genericamente, non vedo problemi nell’utilizzarla. Avrei dubbi sull’escluderla a priori per la possibilità di incongruenze nelle zone perimetrali della zona rilevata, specie se l’estensione dell’oggetto del rilievo raggiunge i punti d’inquadramento.
Poi però ogni caso è giustamente diverso e DEVE fare storia a se …

Tra l’altro, non vedendo il motivo per cui la rototraslazione debba essere per forza di tipo conforme, io utilizzo anche rototraslazioni di tipo “affine” differenziando così il coefficiente nelle due direzioni XY per cercare di ottenere la migliore compensazione possibile.

Per gli altri aspetti, francamente ci sono troppe cose tirate in ballo. La lettura della discussione originaria sull’altro sito è insostenibile per il tono del confronto, quindi mi esprimo su un paio di quelli che ho capito.

A) Per la distanza dei punti di appoggio dall’oggetto del rilievo - anche qui che in linea di principio e parlando genericamente - penso che punti di appoggio lontani siano pessimi punti di appoggio, e rimangono tali con o senza coefficiente di compensazione.
Per me si tratta comunque di un caso particolare.
Se non si riesce di trovare punti migliori, capisco la necessità di non peggiorare la situazione deformando l’oggetto del rilievo con elementi incongrui (deformazione che quindi non può essere definita una “compensazione”).
Si tratta per me di trovare un equilibrio tra:

  • l’esigenza di trovare la posizione dell’oggetto del rilievo più congruente possibile rispetto al contesto di mappa;
  • l’esigenza di non deformare l’oggetto del rilievo;
    Una soluzione potrebbe essere di escludere dal calcolo di compensazione l’oggetto del rilievo e di sostituirlo con un suo punto (per esempio il baricentro o, meglio, il punto medio).

Quindi:

  1. i punti di inquadramento e il punto sostitutivo possono essere assoggettati alla rototraslazione conforme, quindi con la variazione di scala;
  2. i punti dell’oggetti del rilievo possono essere “collocati” senza deformazione, facendo coincidere il punto sostitutivo nei due sistemi (la traslazione) e ruotandoli dello stesso angolo calcolato nella rototraslazione, senza applicare alcun coefficiente.

Richiede qualche calcolo, ma credo che ognuno debba essere in grado anche di crearsi gli strumenti (matematici, in questo caso) necessari al proprio lavoro, e senza spaventarsi 1) è il problema topografico ormai classico che sappiano già risolvere, 2) è un banale problema di geometria analitica (o trigonometria, se si vuole).
Ripeto: per me si tratta comunque di un caso particolare.

B) Per la presenza di errori sistematici/accidentali, se si intende che è sbagliato compensare errori di tipo sistematico, trattandoli come errori accidentali è certamente vero. Gli errori sistematici si correggono, non si compensano.
Se ho inteso bene il problema, per quello che interessa noi - cioè la ricostruzione di linee di mappa - se devo trattare due punti rilevati da stazioni diverse di una stessa poligonale, l’effetto della compensazione della poligonale stessa è valutabile come un errore sistematico (tutte le stazioni sono traslate di quantità proporzionali), che sarebbe meglio eliminare.
Il problema è che in condizioni normali non conosco nulla di tale compensazione. Gli errori sistematici sono tali solo se si è in grado di riconoscerli, sapere l’entità dell’errore e correggerli di conseguenza. In caso contrario sono costretto a trattarli come accidentali.
So che può essere funzione del numero dei vertici poligonometrici interessati e quindi della distanza (e da qui deriva per me l’esigenza di punti d’appoggio vicini), ma io non sapendone di più non posso fare altro che trattarli come errori accidentali e compensarli.

C) Chiudo con documento storico, una circolare.
L’anno è il 1889 e siamo agli albori dell’impianto catastale.
La firma è di Annibale Ferrero, che insieme al Messedaglia è uno dei padri del Catasto Italiano e l’ispiratore della parte cartografica. Non sarà Tani o Costa, ma direi che di mappe catastali ne capiva qualcosa.
L’argomento non è esattamente il nostro, qualcuno potrebbe dire che andrebbe contestualizzato. Però l’argomento è simile: il confronto fra mappe (preunitarie) e rilievi.
Notare la soluzione sorprendentemente moderna e l’assenza di riferimenti alle proiezioni cartografiche …


Cordialmente
Roberto

Ciao Roberto e bentornato sul forum.

Innanzi tutto mi complimento con te per la grande conoscenza che dimostri sulla formazione della mappa d’impianto, corredata da documenti storici che né io né molti altri colleghi abbiamo mai avuto a disposizione. Se ti va di condividerli, ti basta mandarmeli a gianni.rossi@corsigeometri.it, li pubblicherò sulla pagina dedicata del sito (menù Risorse | Testi Sacri) citandoti come fonte. Mi congratulo con te soprattutto per la completezza della tua analisi sulla creazione della mappa d’impianto, nel senso che oltre agli aspetti operativi hai sviscerato in dettaglio anche quelli di calcolo. Condivido quindi tutta la tua disamina sulle compensazioni operate in sede di restituzione dei rilievi d’impianto e sugli errori potenziali di cui sono affetti i punti di mappa.

Tornando nello specifico sulla variazione di scala, è ovvio che la questione se va applicata o meno va valutata sulla base di come la mappa d’impianto è stata creata. E io non sono per niente contrario all’ipotesi che in determinati casi sia corretto non applicarla. Quello che contesto agli “amici” dell’altro forum è proprio il loro assolutismo basato per lo più su considerazioni soggettive senza mai corredarle da “numeri”, che sono invece l’unico elemento che può dirimere l’interrogativo. Dire che la variazione di scala è una cagata pazzesca e un algoritmo idiota dimostra soltanto mancanza di capacità di analisi e chiusura totale al confronto tecnico. E quando c’è chiusura al confronto tecnico, subentra inevitabilmente l’attacco alla persona (che io, purtroppo, tendo a ripagare con la stessa moneta) che porta all’inevitabile perdita totale dei contenuti tecnici.

Ma andiamo oltre.
Riprendo di seguito i vari punti sollevati da chi ritiene che la variazione di scala non vada MAI applicata.

1) Proiezione cartografica: dire che la variazione di scala va applicata solo per correggere gli effetti della proiezione cartografica Cassini-Soldner (asserendo che questi sono gli unici omogenei), è a mio avviso del tutto sbagliato; oltre al fatto che, come hai rilevato tu stesso, l’incidenza di tale fattore è di 6 cm/km e vale solo in direzione Est. Quest’ultimo dato conferma la mia tesi sul fatto che chi vuole costantemente evitare i numeri rischia di prendere sempre grandi cantonate.

2) Distorsione delle figure: dire che applicando la variazione di scala si distorcono le figure di mappa vale unicamente nel caso in cui si sia certi che TUTTI i vertici della figura in questione siano stati rilevati dalla stessa stazione. In tal caso, infatti, i vertici sono tra loro congruenti e non vanno assoggettati al fattore di scala derivante dai punti di inquadramento. Domanda: in quanti casi abbiamo la consapevolezza e la certezza che TUTTI i vertici del confine da ricostruire sono stati rilevati dalla stessa stazione?

3) Compensazione delle poligonali: dire che la compensazione delle stazioni di poligonale non incide sulle singole figure rappresentate in mappa è del tutto sbagliato proprio per quanto detto sopra. Se i vertici del confine da determinare non sono stati rilevati dalla stessa stazione, ma da due o più stazioni, la compensazione incide eccome. Dopodiché non capisco nemmeno perché la compensazione sia trattata alla stregua di “errore”, visto che ha avuto invece proprio lo scopo di “correggere” gli errori di rilevazione.

4) Errori sistematici e accidentali: dire che sia gli uni che gli altri sono errori “non omogenei” e che quindi, come tali, non vanno corretti applicando la variazione di scala non ha alcun senso (sempre a mio avviso, sia chiaro). Avrebbe senso se noi, oggi, potessimo risalire in qualche modo a quegli errori o quanto meno alla loro entità (pur approssimata) nella zona specifica di nostro interesse. Ma noi non abbiamo alcuna possibilità di ottenere questo dato.

Premesso quanto sopra, vorrei ora riportare la discussione alla situazione REALE, e non IPOTETICA, nella quale si trova il riconfinatore quando deve ricostruire una linea di mappa, essendo quest’ultima l’unico elemento probante rimasto per mancanza di “ogni altro mezzo di prova”.

  • il confine esiste solo sulla mappa e io devo riportarlo sul posto;
  • non dispongo di alcun dato analitico (misure) di chi ha rilevato la linea;
  • l’unica cosa di cui dispongo è la mappa d’impianto, cioè un “disegno” che riporta tale linea;
  • non ho alcun modo per risalire agli errori di cui sono affetti i punti riportati su tale disegno.

Come faccio a portare la linea di confine dal disegno al terreno?

L’unica possibilità che ho è quella di portare la mappa sul rilievo di riconfinazione affidandomi ad una serie di punti di inquadramento presenti in entrambi i sistemi di riferimento (se qualcuno conosce qualche altra possibilità, sono più che disponibile ad analizzarla). Per compiere questa operazione è stata studiata la rototraslazione ai minimi quadrati, un algoritmo che mette in relazione le coordinate di una serie di punti omologhi note in due differenti sistemi di riferimento, nel nostro caso: mappa e rilievo di riconfinazione. Il grande pregio di questo calcolo è che ci fornisce, con la maggior precisione ottenibile, lo scarto afferente a ciascun punto, permettendoci quindi di eliminare quei punti che, messi in relazione con i loro pari, palesano un errore che riteniamo non accettabile.

Lo scarto dei punti fornito dalla rototraslazione ai minimi quadrati è l’UNICO DATO di cui disponiamo sull’attendibilità di ciascun punto di inquadramento. Non ha quindi alcun senso (sempre a mio avviso) disquisire su quali siano stati gli errori che hanno prodotto questa evidenza:

  • È stato perché le coordinate dei trigonometrici di appoggio non erano esatte?
  • È stato perché il calcolo di compensazione delle poligonali non è avvenuto correttamente?
  • È stato perché il punto è stato rilevato male?
  • È stato perché il disegnatore era maldestro?

Se potessimo rispondere a queste domande, allora sapremmo anche come correggere i singoli errori. Ma non abbiamo questa possibilità, mettiamoci l’anima in pace.

Oltre a questo dato (scarto), che già di per sé ci permette di limitare l’incidenza degli errori di cui sono affetti i punti di mappa, la rototraslazione ai minimi quadrati ci ritorna anche il “fattore di scala”, un dato unico che ci dice se i due sistemi, mappa e rilievo, hanno la stessa scala (f = 1) oppure no ( f # 1). Domanda:

Se i due sistemi non hanno la stessa scala, e io porto i punti del confine da un sistema all’altro senza riportarli alla stessa scala, commetto un errore o no?

Secondo me assolutamente sì. L’esempio lampante è quello che ho già avuto occasione di esprimere, sempre esponendo un caso eclatante (altrimenti sui casi reali non si capisce). Facciamo finta di operare ancora sul cartaceo: se ho la mappa in scala 1 : 2000 mentre il disegno del rilievo ce l’ho in scala 1 : 1000, cosa faccio? Prendo sulla mappa le coordinate di un punto di confine e le riporto con gli stessi valori sul disegno del rilievo?

Dopodiché, come dicevo, io non sono per nulla contrario ad analizzare casi particolari in cui la variazione di scala non debba essere applicata. Ma, appunto, si tratta di casi particolari. Tanto per dare una conclusione a tutto il mio ragionamento, ritengo che invece la variazione di scala vada sempre applicata qualora siano rispettate le seguenti condizioni:

  • non si dispone di alcuna informazione analitica sul rilievo del confine né sul fatto che i suoi punti siano verosimilmente stati rilevati dalla stessa stazione d’impianto;
  • i punti di inquadramento sono in numero sufficiente, ben disposti attorno al confine e sufficientemente vicini allo stesso;
  • gli scarti sugli stessi punti di inquadramento sono di entità accettabile (dopo aver eliminato quelli che non lo sono);
  • il fattore di scala sia contenuto entro 1.5 m/km, o superiore solo nel caso in cui il confine sia in posizione baricentrica rispetto al poligono di inquadramento.

Riprendo infine questo tuo passaggio:

Interessantissima questa tua idea, la implementerò senz’altro nel mio software, per cui non è escluso che debba chiederti un qualche supporto che, sono certo, non mi negherai.

Così come ho trovato interessantissimo l’esperimento che ha svolto Sergio simulando che alcuni punti di inquadramento siano invece il confine. Sergio mi ha già anticipato l’esito di questo lavoro che pubblicherà qui appena ne ha il tempo.

Senza voler entrare in polemica con “l’altro forum”, credo che sia proprio questo l’approccio giusto per affrontare temi come questo, cioè cercare riscontri oggettivi (e, ove possibile, soluzioni) alle tesi che si affermano. Se invece l’approccio è che la variazione di scala è una cagata pazzesca e un algoritmo idiota, senza dimostrarne il motivo, allora c’è poco da discutere.

Ancora Buone Vacanze a te a tutti quelli che non le hanno ancora fatte.

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Ciao Gianni,
mi associo anche io ai complimenti a Roberto.
Gianni, ti ho girato la sperimentazione da me eseguita sul caso che ho proposto, attendo tue considerazioni.
Per quanto riguarda eventuali implementazioni al programma, oltre a quella di applicare ad un punto baricentrico al confine la variazione di scala e poi da questo ricavare le coordinate non variate dei punti di tracciamento, Gianni sarebbe interessant ampliare il calcolo di Geocat con la possibilità di eseguire anche la compensazione di tipo affine.
Un saluto

8 messaggi sono stati uniti a un argomento esistente: Aspetti giuridici della riconfinazione (a cura di Nino Lo Bello)