Tolleranza catastale riconfinamento su mappa d'impianto

Ciao Fausto e Roberto,
Io non sono del tutto d’accordo con quanto da voi detto, ovviamente è sempre difficile generalizzare,
Se un tecnico viene chiamato per determinare un confine di impianto dove nelle vicinanze è presente un muretto di 30 cm. è stabilire la sua posizione rispetto allo stesso, questo ha molti elementi da indagare prima di dare una risposta al committente: quale dei confinanti ha realizzato l’opera, l’epoca di costruzione del manufatto, eventuali elaborati grafici allegati ai permessi edilizi, elementi presenti sul posto, eventuali testimonianze di vicini confinanti.
In questi casi (quando possibile) è bene operare in contraddittorio con le parti o meglio (purtroppo non sempre è un bene , dipende dal collega) con il tecnico di controparte.
Quindi, sulla base delle risultanze, e dopo una verifica topografica, quasi sempre indispensabile (qui è d’obbligo utilizzare le corrette tecniche ormai ben conosciute), può ragionevolmente arrivare alla definizione del confine,
Dico questo perché mi sembra un poco azzardato far passare il messaggio che viste le incertezze presenti nelle mappe, quando veniamo chiamati a determinare questi confini è meglio rinunciare all’incarico .
Un saluto

Ciao Roberto, Fausto e Sergio.

Concordo con questa affermazione di Sergio, e non capisco come due tecnici preparati come voi, Fausto e Roberto, siate disposti a rinunciare all’incarico solo per il fatto che la ricostruzione di un confine da mappa sia affetta da incertezza (sempre ovviamente che la ricostruzione da mappa si renda necessaria per mancanza di qualsiasi altro elemento, come recita l’art. 950 del codice civile).

Vi dico questo riprendendo anch’io i punti sollevati da Roberto e condivisi da Fausto.

Roberto, la tua conclusione che ho evidenziato in grassetto qui sopra, a mio avviso non ha alcun senso. Ti spiego il perché. Innanzi tutto, come dice Sergio, se esiste un muretto, quello è il primo candidato in assoluto per essere sancito quale confine di fatto rispettato dalle parti, quindi espressione della loro volontà. Pertanto, prima ancora di passare alla mappa, vanno svolte tutte le indagini che ha citato Sergio per verificare se il muretto ha i requisiti per essere sancito quale confine. Se queste indagini non danno tale esito, allora si passa alla ricostruzione da mappa e questa può dare soltanto due evidenze:

  1. la linea di mappa ricostruita si trova ad una distanza inferiore o uguale a quella dell’incertezza stimata per la ricostruzione stessa;

  2. la linea di mappa ricostruita si trova ad una distanza superiore a quella dell’incertezza stimata per la ricostruzione stessa.

Nel primo caso, il muretto è il confine, senza discussioni di sorta. Ce lo insegna Pier Domenico Tani quando scrive (libro Riconfinazione – aspetti tecnici e giuridici, pag. 133):

Tornando all’entità delle due precisioni da me presumibilmente conseguite, il loro concreto significato è questo: consapevole della validità e diligenza del mio lavoro, ritengo di poter respingere eventuali risultati della contro-parte discordanti dai miei più di 40 cm, di cui assumo piena responsabilità. Per altro verso presumo che la sconosciuta posizione vera del confine, se si rivelasse in concreto, potrebbe discordare tollerabilmente dalla mia determinazione anche di 1 metro.

Tra l’altro, come vedete, Tani parla addirittura di 1 metro, non dei soli 50 cm dovuti allo spessore delle linee di mappa, che cita Roberto. E ha ragione Tani, perché all’errore di graficismo della mappa se ne sommano altri: imperfezioni del rilievo d’impianto e nel disegno della mappa, sia riguardo al confine che ai punti di inquadramento da noi utilizzati per la ricostruzione.

Nel secondo caso (linea di mappa ricostruita distante dal muretto di un’entità maggiore della tolleranza) il muretto può essere conteso. E anche in questo caso la tolleranza viene in aiuto perché può favorire un accordo bonario, sempreché il tecnico incaricato se ne faccia carico. Ad esempio, se la distanza tra la linea ricostruita e il muretto è di 2 metri, e la tolleranza stimata è di 1 metro, il tecnico del confinante favorito dalla linea ricostruita deve suggerirgli di limitare la pretesa deducendo dai 2 metri la tolleranza stimata (tutta o in parte). Se poi il committente non aderisce a tale consiglio, allora sarà esclusivamente lui a decidere di intraprendere l’azione legale. Tu, tecnico, hai compiuto il tuo dovere nell’avergli messo di fronte l’aleatorietà data dalla tolleranza della ricostruzione, se poi lui vuole andare in causa, non potrà poi dirti, nel caso di esito sfavorevole, che non gli avevi espresso tale circostanza.

Anche questo, a mio avviso, non ha senso, proprio per quanto detto sopra.

Questa è ovviamente la soluzione ideale, quindi siamo tutti d’accordo. Ciò non toglie che, quando i due contendenti non vogliono scendere a patti (e qui in Veneto succede spesso), si debba rinunciare all’incarico.

Vale quanto detto sopra, secondo me, questo tuo atteggiamento è professionalmente sbagliato. Se dopo aver proposto al committente l’accordo bonario, il tuo committente lo rifiuta, tu devi metterlo a conoscenza dell’incertezza della ricostruzione da mappa (vedi sopra) e procedere con l’incarico, così che la tolleranza torni a favorire un accordo. Se poi anche questo non serve a far desistere il committente dall’azione legale, tu sei conscio di aver operato in modo professionalmente corretto nei suoi confronti.

Io invece lo reputo corretto.

Si sta parlando di riconfinazione da mappa ove altri elementi utili non sono riscontrabili.

Se vi fossero altri elementi il discorso mappa non esisterebbe.

Io ho condiviso in toto il pensiero di Roberto, poichè definire un confine (DA MAPPA) di un muro di cinta, di un albero di pochi decimetri di diametro, basandosi solo sulla mappa, E’ -per me- IMPOSSIBILE.

Se poi, vogliamo fare il lavoro, solo per portare a casa la pagnotta, tutto si può fare, ma questo fa parte della coscienza di ognuno di noi.

I committenti DEVONO CAPIRE che non tutto gli è concesso.

Iniziare un procedimento per verificare un confine la cui incertezza è di qualche decimetro, e farlo potrarre per anni, è per me, una cosa impensabile.

Preferisco rinunciare all’incarico, e stare a posto con la coscienza umana prima e professionale poi, anzichè vendere al committente solo chiacchere il quale non capirà MAI il discorso delle varie tolleranze.

Naturalmente questa è solo la mia opinione.

P.S. con quanto sopra ho risposto anche alle osservazioni di Sergio.

Buona giornata

Ciao Fausto,
come ho già detto in precedenza è difficile generalizzare perché si rischia di banalizzare.
Nessuno in questa discussione ha mai detto che su un confine di impianto garantisce una ricostruzione cartografica sicura e con precisioni centimetriche.
Ma non si può nemmeno pensare che il confine in questi casi non sia determinabile e quindi dire al committente che si rinuncia all’incarico.
Prima di dire che non si può determinare il confine in contraddittorio tra le parti con relativo accordo, ritengo che un professionista debba accettare l’incarico, e quindi procedere ad indagare tutti gli elementi possibili, (come già riportato in mia precedente risposta) comprendendo nelle verifiche anche quella topografica, parlare con il confinante eventualmente con il suo tecnico.
L’importante è non illudere il committente che il confine da noi ricostruito è la verità assoluta.
A questo punto, in caso non si trovi l’accordo sull’esatta posizione del confine, valutare con il committente se vale la pena iniziare una causa di confine con tutti i costi, gli annessi e connessi (tra cui ricomprendo l’incompetenza di alcuni Consulenti).
Un saluto

Ciao Fausto,
capisco le tue motivazioni (cioè le stesse di Roberto) ma non le condivido. In particolare quando dici che rinunciare all’incarico ti fa sentire a posto con la coscienza professionale.

Io infatti penso che, al contrario, rinunciare all’incarico dovrebbe farti sentire in colpa sul piano professionale perché ci rinunci solo per non esporti a critiche e antipatie a seguito dell’esito della controversia. Non mi sembra un atteggiamento professionalmente corretto perché un professionista non deve rinunciare ad un incarico per queste motivazioni, deve rinunciare solo quando in coscienza sa di non avere le competenze per svolgere l’incarico, il che non è il tuo caso né quello di Roberto.
Ma a si tratta ovviamente sempre di opinioni personali.

Assumersi un incarico di riconfinazione non significa garantire al committente di sancire il confine secondo una verità assoluta, ma di garantirgli unicamente la miglior ricostruzione possibile.

Roberto propone giustamente il tentativo di conciliazione bonaria, ma se questo tentativo fallisce e tutti facessero come te e Roberto che, nel caso si debba ricorrere alla mappa, rinunciate all’incarico, i committenti cosa fanno?

Se lo ricostruiscono da soli il confine?

Qualora sussista la “mancanza di altri elementi” di cui all’art. 950 e si deve ricorrerre al confine da mappa, al committente va spiegata l’incertezza intrinseca della ricostruzione e questa, come dicevo nel post precedente, può favorire l’accordo bonario. Se poi questo non avviene e il committente decide di procedere … si procede e si ricava il confine secondo le tecniche previste in letteratura.

Fausto, a volte ti ho letto nel rispondere a Nino:

Cosa devono fare i due confinanti, lanciare in aria la monetina?

Ma tu qui stai assumendo esattamente questo atteggiamento, o sbaglio?

Rispondo a tutti senza citare i sngoli nomi.

Forse non avete letto attentamente il mio post, nella parte evidenziata :

Quindi se dopo aver compiuto tutte le dovute verifiche catastali (sottolineo ancora una volta che si tratta di riconfinazione da mappa di impianto) l’entità dello sconfinamento è inferiore alla linea grafica, in buona approssimazione 50 cm reali, per dimostare dove sta il confine o come nell’esempio il muretto, i due contendente dovranno portare mezzi di prova che possono essere : documenti autografati, ricevute di pagamenti, testimonianze, ecc; passando così da una disputa “geometrica” ad una “legale”.
Poi se ci fosse qualcuno che non ha ancora capito bene cosa voglio dire, gli allego lo stesso disegno che faccio in tutti quei casi in cui vi è una disputa con conseguente incarico di riconfinazione, riguardante una entità o eventuale spostamento inferiore a 50 cm reali il cui confine deriva (come unica prova) da mappa di impianto.

Spero che il disegno sia ben comprensibile a tutti, così come a quel semplice contadino (scarpa grossa ma cervello fino) che pur sostenendo animatamente, che la fossa nel passare del tempo è stata spostata di 30 cm e per tale motivo vorrebbe fare causa al confinante, riflette su questa spiegazione e desiste dall’andare dall’avvocato

Ciao Roberto,
sì, sì, il concetto dello spessore di 50 cm della linea di mappa lo hai espresso perfettamente. Anzi, in un post sopra io, citando un passaggio del Tani, avevo addirittura esteso l’incertezza a 1 metro perché allo spessore della linea si sommano le altre inevitabili imperfezioni di rilievo e di disegno che si sono verificate all’impianto.

Tuttavia continuo a non seguirti nel tuo ragionamento. Infatti tu sembri invertire l’ordine delle azioni da compiere, cioè:

  • prima dici di ricostruire la linea di mappa;
  • poi dici che se questa si discosta meno di 50 cm dal muretto, i contendenti devono portare idonei mezzi di prova passando ad una disputa legale.

L’ordine delle azioni è invece esattamente l’opposto:

  • prima si cercano i mezzi di prova che sanciscono il confine sul muretto; se tali prove emergono, la disputa e bella che risolta;
  • solo se non esiste alcun mezzo di prova si procede alla ricostruzione della linea di mappa.

In quest’ultimo caso, a seconda che la linea di mappa caschi ad una distanza maggiore o inferiore alla tolleranza stimata:

  • se inferiore: il muretto torna ad essere il confine, senza ulteriori discussioni;
  • se superiore: si potrà valutare l’ipotesi di un accordo che tenga comunque conto della tolleranza insita nella ricostruzione e, se l’accordo non viene accettato, sarà giocoforza procedere (anche legalmente) con la ricostruzione da mappa.

Questo è a mio avviso il modo corretto di procedere. Viceversa, come dicevo a Fausto, rifiutare l’incarico non lo trovo professionalmente corretto, perché se tutti facessero così, i committenti si troverebbero senza alcuna assistenza tecnica.

Purtroppo per mio difetto, ho difficoltà a dettagliare tutto minuziosamente in ogni post che scrivo di getto, per questo preferisco il confronto verbale.

Se la disputa è per sapere di chi è il muretto, prima dovrò sapere dove sta approssimativamente? nel caso si discosti di oltre un metro si passa al caso che avevo esposto in altra discussione “volontà delle parti”.
L’incarico lo rifiuto (cerco di rifiutarlo) quando mi chiedono di verificare se una fossa di 50 cm che viene dalla mappa di impianto è stata spostata di 30 cm, e magari lo stato dei luoghi evidenzia già che è li da sempre (ad esempio in toscana ci sono cipressi ai triplici di confine costituiti da fosse).

'mazza che “divagazioni” (simili a quelle dei torrenti in piena) !

Forse risulterá utile sapere quello che pochi conoscono non avendo mai conosciuto quelli che hanno effettuato i rilevamenti d’impianto : mio padre era uno di quelli ed anche mio nonno e le regole erano queste:

Dopo le triangolazioni di grado successivo a quelle dell’IGM e d’infittimento della rete i vertici venivano collegati tra loro con poligonali calcolate (all’epoca) con il sistema dei logaritmi e debitamente compensate se erano in tolleranza. Vale la pena qui di ricordare che le battute fra i vertici non dovevano superare i 130 metri stante il fatto che, vista la precisione degli strumenti di allora (1930), non superava i 2 primi centesimali (letture mediate diritte e capovolte con costante diastimometrica 50 e 100 e con noni A e B diametralmente opposti sia al cerchio orizzontale che verticale) e alla stadia (ogni cm equivaleva 1 m sul terreno).

Si procedeva poi al dettaglio dalle stazioni con gli stessi limiti strumentali dando scarsa importanza ai limiti di coltura e dei fiumi, fossi e torrenti, mentre per i punti fissi si procedeva come segue:

  1. Per i termini si rilevavano da due stazioni successive (sempre con le procedure di cui sopra)
  2. Per i fabbricati si rilevavano sempre da due stazioni successive e se ne misuravano i lati col triplometro o con la cordella.
    Ovvio che si facevano le medie semplici dei vari risultati

La restituzione partendo da una stazione mediata all’interno dei parametri del foglio e avveniva con l’uso una matita 5H e di un goniometro di cartone a scala “ticonica” (in grado di evidenziare al massimo i 10’ centesimali) e uno scalimetro a bordo tagliente (per raggiungere il foglio) che i piú bravi riuscivano a gestire ai 2 decimi di millimetro. Si evidenzia che i fogli su carta "canapa-con scarsa dilatazione : (“dilatazione” e non “contrazione” :slight_smile: ) giungevano da Roma giá parametrati con sistemi meccanici simili agli “stereocartografi” usati in fotogrammetria.

I fogli venivano collaudati tramite il confronto su allineamenti fatti sul terreno che dovevano tornare in mappa con un limite di tolleranza che non ricordo ed, eventualmente, scartati se eccedevano la tolleranza stessa.

La mia esperienza mi dice che, il piú delle volte, il posizionamento sul terreno, previo ancoraggio a punti di termini o di spigoli alla scala 1:2000, erano tracciati nell’ordine dei 40 cm (2 decimi di millimetro della mappa)

A voi tutti l’ardua sentenza (io sono vecchio e non ne ho piú l’elasticitá necessaria ! :slight_smile:

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Hai spiegato perfettamente quello che cerco di far capire da anni
Grazie!!!

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Ugo Cappelletti
la tua testimonianza dovrebbe essere incorniciata in ogni luogo dove operano i geometri che si occupano anche di riconfinazioni.

Questa tua testimonianza vera, vale più di 100 libri teorici.

Buona giornata e buon inizio settimana a tutti.

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Ciao Ragazzi (si fa per dire), :slight_smile:
sì, le testimonianze, come quest’ultima, dell’amico Ugo sono da incorniciare (uso il plurale perché non è certo la prima che Ugo ci fornisce).

Tuttavia, Roberto e Fausto, se ci riferiamo alle riconfinazioni, vedo che continuiamo a non capirci. Quindi, cocciutamente, cerco di provare a vedere se ci riusciamo una volta per tutte.

Siamo tutti d’accordo che un confine ricavato dalla mappa d’impianto (inclusi i successivi atti di aggiornamento) è affetto da un’incertezza intrinseca data dai mezzi e dai metodi con in quali la mappa stessa è stata creata e che Ugo, grazie alla sua impareggiabile conoscenza, ci ha spiegato.

Ma questa incertezza non può esimerci dal ricostruire comunque il confine qualora ciò ci venga richiesto !

Non so più come fare a dirvelo.

Lo stesso accade quando tale richiesta arriva direttamente al Giudice da parte di due confinanti che non vogliono saperne di accordarsi.

Se facesse come fate voi, che rinunciate all’incarico, cosa succederebbe?

Dice ai due confinanti di sfidarsi a duello all’arma bianca per stabilire il confine?

Non so se vi è chiaro.

L’art. 950 del codice civile è chiarissimo in tal senso: pone la mappa catastale quale extrema ratio per dirimere la controversia, ma lo prevede. E, per quanto a mia esperienza, i casi in cui si deve ricorrere alla ricostruzione della linea di mappa sono la stragrande maggioranza, proprio perché si verifica la “mancanza di altri mezzi di prova”.

In questi casi il confine va comunque determinato, pur con l’incertezza che ciò comporta.

Poi, come dicevo, sta al bravo tecnico stimare tale incertezza e riferirla al committente (compito in capo anche al tecnico di controparte) per favorire un accordo bonario proprio basato sull’entità della tolleranza.

Ma se i due contendenti ancora non ne vogliono sapere, il confine va comunque sancito utilizzando le procedure corrette previste in letteratura tecnica, incertezza o non incertezza.

Professionalmente parlando, esimersi dal farlo non è a mio avviso un messaggio corretto da far passare.

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… non vorrei essere frainteso : il fatti che ho raccontato non fanno altro che rafforzare la bontá e non la falsitá dell’originale stante il fatto che é stato redatto con tutte le tecnologie, metodi e cautele possibili all’epoca tanto da essere ( me lo diceva mio padre) notevolmente affaticanti per gli operatori.

Sono sempre stato un sostenitore di tale bontá, ovvio nei limiti della scala della mappa stessa che, ho dimenticato di ricordarlo, erano adeguati proprio ad essa arrivando, a certe scale (500 urbano), alla misurazione delle distanze con la cordella metrica e aumentando le medie degli angoli o cambiando il tacheometro in uso con uno piú preciso.

Per quanto riguarda poi i metodi di ricavo dei dati dall’originale stesso per le confinazioni confesso che ho sempre usato un software simile a quelli propagandati denominati Geocat & CorrMap che non ho mai acquistato proprio perché, oramai, ne avevo giá uno di simile ma certo non cosí rigoroso e performante.

Grazie

… mi rendo conto che stiamo andando fuori topic : ci trasferiamo pertanto qui :

Antiche procedure topografiche

Ciao, Ugo,
mi pare di aver capito che si dovrebbe risalire al soggetto che a suo tempo costruì il muro divisorio tra i due fondi, oppure se sia stato costruito a spese comuni a cavaliere di confine dai rispettivi proprietari dei fondi, o no?

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Ciao Nino, tutto bene ?

Ti ringrazio di rivolgerti a me, ma io sono prevalentemente un tecnico anche se ho comunque una “spolveratina scolastica” di diritto.

Da come l’intendo io sembra che, secondo te, sia necessario cercare qualche testimone giovane all’epoca che asserisca di aver assistito alla costruzione del muro : non saprei dare altra spiegazione.

Grazie

Ciao, Ugo,
va molto bene, grazie. Constato con soddisfazione che il tuo apporto in merito ai rilevamenti catastali e della formazione delle mappe sono preziosi per le nuove generazioni e, sebbene io appartenga alla vecchia classe (81 anni), certe cose che hai scritto non le sapevo. In merito al muro bisogna fare delle considerazioni: non è certo che si possano trovare dei testimoni, ma è certo che è stato costruito da uno o da tutti e due i proprietari , per cui sussiste la presunzione legale ( art. 2727 c.c). della volontà di realizzarlo a spese comuni ( art. 951 c.c a cavaliere di confine ) o a spese di uno solo, in questo ultimo caso il proprietario si individua osservando il muro: se ha in sommità un piovente verso il suo fondo, oppure una nicchia ( art. 881 c.c. terzo capoverso). Cordialità,

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Ciao Nino tu sei in 5^ io sono im 1^ elementare (77 anni) :slight_smile:

…sicuramente sará vero peró : saranno adesso “VIVI” i costruttori del muro ? :frowning:

Grazie a presto

Ciao, Ugo,
se coloro che che costruirono il muro non esistono più la proprietà del muro si desume da quanto ho scritto o secondo il principio del tempus regit actum, Non siamo in tema di regolamento di confine perchè il muro lo segna. Cordialità.

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