Cila in sanatoria ex Art. 6-bis, comma 1, lettera a) oppure Art. 34 – ter oppure altro?

Buonasera, come riportato nel titolo, dovendo regolarizzare ai fini della vendita la “telenovela immobiliare” (mi scuso per la lunghezza) che segue, non riesco a formarmi un convincimento personale su come procedere, chiedo perciò il vostro prezioso parere.

  1. L’unità da regolarizzare fa parte di un immobile edificato nel 1870, tipologia costruttiva “a ballatoio”; l’epoca di fabbrica è comprovata da documentazione presso archivio storico del Comune di Milano. Dunque non c’è, in quanto non era previsto, un titolo abilitativo e/o agibilità (prima visita, ecc)
  2. Nel 1939 l’unico proprietario presenta le planimetrie di primo impianto delle unità dell’intero immobile, tra cui quelle dei tre subalterni tra loro limitrofi sub. 78 (monolocale), sub. 79 (bilocale) e sub. 80 (monolocale). Le sagome o perimetri delle singole unità, rappresentate nella planimetrie d’impianto, corrispondono allo stato di fatto odierno. [rileva ai fini art. 9 – bis TUE]
  3. Nel 1983 l’unico proprietario, per procedere alla vendita frazionata dell’intero fabbricato e alla costituzione del condominio, aggiorna tutte le planimetrie catastali. I tre subalterni d’impianto anzidetti vengono fusi nel nuovo sub. 144 la cui planimetria catastale depositata è allegata al rogito di acquisto nello stesso anno 1983 dei danti causa (genitori) del proprietario attuale (figlio). Non c’è nessuna pratica edilizia relativa alla fusione e/o dell’apertura di un vano porta di comunicazione interna tra due dei subalterni iniziali soppressi. [rileva ai fini art. 9 – bis TUE]
  4. Inizio giugno1985 viene presentata e regolarmente protocollata in Comune una Relazione ex art. 48 Legge 47/85 per opere interne nella quale lo stato di fatto preesistente di raffronto è conforme alla planimetria catastale del sub. 144 allegata all’atto di provenienza. Lo stato di progetto riporta l’apertura di un vano porta per mettere in comunicazione due vani dei subalterni soppressi, la formazione di un vano cucina e di un bagno cieco con antibagno. Questa relazione protocollata, con lo sviluppo descritto del punto successivo, è l’unico atto depositato in Comune nonché estraibile relativo all’unità da regolarizzare.[rileva ai fini art. 9 – bis TUE]
  5. Sei mesi dopo, nel novembre 1985, la Relazione ex art. 48 sopra menzionata, peraltro senza interpellare i presentatori, viene rubricata dall’Ufficio tecnico comunale come una Istanza per Opere interne - Art. 26 Legge 47/85. A ciò consegue una puntigliosa disamina sia urbanistica (Divisione Piano regolatore), sia da parte dell’Ufficio esame progetti edilizia privata il quale, nel febbraio 1986, solleva un rilievo circa il servizio igienico di nuovo formazione che contrasta con l’art. 42.8 del Regolamento Edilizio vigente - Requisiti relativi alla fruibilità (che così recitava:
    Gli alloggi progettati per uno o due utenti virtuali devono essere dotati almeno di uno spazio di cottura, di un gabinetto con più di tre apparecchi, di un ripostiglio anche del tipo a soppalco.
    E’ vero che nel bagno di progetto erano previsti solo tre apparecchi: un vaso WC, un vasca a sedile e un lavabo, in breve mancava il bidet.
  6. In data 16/04/1986, il Messo comunale notifica alla proprietà “una diffida dall’iniziare i lavori e nel proseguire qualora fossero iniziati, significando altresì che la mancata regolarizzazione avrebbe comportato l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10 Legge 47/85”. Il fascicolo in Atti comunali non riporta altro, non è dunque possibile, né l’erede ne ha prova, accertare l’eventuale pagamento della sanzione minima di lire 500.000 in uso in casi del genere.
  7. In data 03/11/2010, verosimilmente ai fini della successione ereditaria, è stato presentato un Docfa costituendo il nuovo Sub. 715, che sostituisce il sub. 144, la cui planimetria catastale è perfettamente conforme allo stato dei luoghi attuale laddove il servizio igienico, oggetto della diffida del 1986 è più ampio e dotato di quattro apparecchi igienici, perciò nelle more, ossia dal 1986 al 2010, il rilievo è stato nel frattempo regolarizzato, ma non c’è nessuna traccia di titolo abilitativo. Piastrelle e tipo di sanitari risalgono agli anni 1990/2000.

Prima del decreto “Salva Casa”, convertito nella Legge 105/2024, avrei senz’altro optato per una Cila in sanatoria, facendo versare al cliente l’obolo di 1.000 euro, avente per oggetto l’ampliamento effettuato del servizio igienico, ponendo come stato di fatto preesistente dell’unità immobiliare quello di progetto rappresentato nell’art. 48, rubricato poi come art. 26, di fatto unica pratica edilizia protocollata nonché reperibile in atti comunali. Da ultimo aggiornato la planimetria catastale come richiesto, anche se quella del 2010 sarebbe già conforme.

Senonché più mi confronto su questa situazione da regolarizzare con altri professioni e approfondisco, nel contempo, il “salva casa”, i dubbi crescono-
Alcuni mi dicono che andrebbe regolarizzata “urbanisticamente” anche la fusione catastale del 1983 (punto 3), al riguardo mi domando: come, perché e rispetto a quale titolo abilitativo se l’edificio risale al 1870, perché c’erano tre schede catastali d’impianto?
Altri mi segnalano che sarebbe meglio procedere con l’art. 34 – ter del TUE, ma non vedo la categoria dell’opera, siamo parlando del titolo abilitativo di un servizio igienico (!!!), senza contare che lo Sportello Unico Edilizia del Comune di Milano è chiuso, non riceve nemmeno i professionisti, i tempi sarebbero incogniti dato che la procedura non è chiara, non esiste né una modulistica né le opzioni nel software per la presentazione telematica obbligatoria.

Ringrazio sin d’ora chi vorrà essere d’aiuto.

Le risposte, in casi specifici come questi, non possono che essere pur sempre di carattere generale, per ovvi deficit informativi e non per non sconfinare nella consulenza, deontologicamente non consentita senza incarico.
Ciò premesso, l’art. 48 della legge n. 47/85 si riferiva ad opere interne alle costruzioni realizzate prima dell’entrata in vigore della legge stessa, o in corso di realizzazione alla medesima data.
Le opere interne in questione sono quelle definite dall’art. 26, il quale sconta due versioni: quella vigente dal 17 marzo 1985 al 22 giugno 1985, e quella vigente dal 23 giugno 1985 fino alla sua abrogazione da parte del testo unico edilizia.
L’art. 48, nel riferirsi ad opere interne già realizzate o in corso di realizzazione ha inteso regolarizzare situazioni pregresse nel caso in cui queste soddisfacevano le condizioni e requisiti normativamente prescritti per dette opere, tra cui il fatto che non dovevano porsi in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti.
La disposizione era alquanto “anomala” per il fatto che si consentiva di regolarizzare opere interne verosimilmente conformi alla disciplina conformativa vigente al momento della presentazione della relazione, e non anche di quella vigente al momento della realizzazione delle opere, che poteva essere anche risalente nel tempo.
Il provvedimento comunale di diffida ad iniziare i lavori, intervenuto nell’aprile dell’anno successivo a quello della presentazione, appare inappropriato perché non era ad efficacia differita, infatti occorre considerare che: 1) l’art. 48, come detto, si riferisce ad opere interne già realizzate o in corso di realizzazione alla data di entrata in vigore della legge; 2) che in via ordinaria la relazione doveva essere presentata contestualmente all’inizio dei lavori.
Resta il fatto che lo stato di fatto, per quanto si capisce, risulta difforme dallo stato desumibile dalle planimetrie catastali di primo impianto.
Di conseguenza, vanno qualificate le difformità e collocate temporalmente al fine di determinare il regime giuridico e amministrativo di subordinazione vigente al momento della loro realizzazione. Quindi si deve procedere ad una seconda qualificazione tecnico-giuridica delle “difformità”, al fine di incardinarle nelle varie ipotesi considerate dalla disciplina edilizia, e più nello specifico se ricorrono le ipotesi di cui all’art. 36, oppure all’art. 36-bis, oppure dell’art. 34-ter.
La Cila in sanatoria non è normativamente prevista, anche se in pratica la presentazione tardiva di una CILA di fatto lo sarebbe, ma deve fare riferimento alla normativa vigente al momento della sua presentazione oltre che, forse, al momento della realizzazione delle opere. In ogni caso, va considerato che nessun intervento, neppure di manutenzione ordinaria costituente attività edilizia libera, è legittimo se realizzato su edificio che non versa in stato legittimo.
Nel caso illustrato, qualsiasi intervento intervenuto successivamente alla realizzazione, che ha modificato lo stato desumibile dalle planimetrie catastali di primo impianto o di altro documento ritenuto legislativamente probatorio dalla legge per gli immobili costruiti in epoca nella quale non era obbligatorio acquisire alcun titolo abilitativo, risulterebbe non legittimo.

Innanzi tutto un sincero ringraziamento al valente professionista del forum per il sollecito riscontro.

Tengo altresì a precisare che non era nelle mie intenzioni avanzare richieste “improvvide” e/o indurre in infrazioni deontologiche, ma semplicemente instaurare un confronto d’idee sulla sanatoria/regolarizzazione Vs. la normativa nel caso di specie.

Di sicuro la diffida “retroattiva” (dopo un anno) al pari dalla rubricazione (dopo sei mesi dall’avvenuta protocollazione) operata d’Ufficio ad Istanza art. 26 di una Relazione ex art. 48 L. 47/85 operate dal Comune erano, usando un eufemismo, “inappropriate”, sarebbe forse meglio dire arbitrarie, purtroppo è andata così e sono trascorsi ormai 40 anni.

Per inciso, il progettista nonché asseveratore firmatario, a cui sfuggi di conformarsi al requisito dei 4 apparecchi igienici previsti dall’art. 42.8 del Regolamento edilizio da cui scaturì la diffida, in breve di disegnare un il bidet, era anche un noto e stimatissimo CTU del Tribunale…

Rimane comunque il fatto inoppugnabile che il fascicolo edilizio contenente la Relazione ex art. 48 protocollata corredata delle planimetrie della stato di fatto e di progetto, la rubricazione impropria ad art. 26, i passaggi dell’istruttoria meticoloso attraverso gli uffici tecnici sino alla diffida finale con la motivazione anzidetta (carenza del bidet…), è l’unica pratica edilizia o atto depositato in Comune nonché estraibile relativo all’unità immobiliare da regolarizzare

Sicché, a mio modesto avviso, se per un immobile del 1870 lo stato legittimo è anche quello desumibile dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’unità immobiliare, detto fascicolo è da annoverare a pieno titolo tra quelli elencati nell’art. 9 - bis TUE.

Con riguardo alla collocazione temporale e alla qualificazione suggerite, il titolo abilitativo vigente al momento della difformità non può che discendere da una disamina dai documenti disponibili.

Per il periodo 1939 – 1983 (44 anni), lato Catasto, si hanno le tre planimetrie d’impianto poi confluite nell’unico subalterno 144, rappresentato come stato di fatto della Relazione ex art. 48 nella quale era chiaramente esposto che questo nuovo subalterno derivava dalle tre unità preesistenti, statuizione su cui il comune non ha avuto nulla da eccepire, né risulta materia esposta nella diffida.

Si deve tenere anche conto, con riferimento alle presunzioni probatorie dell’art. 9 - bis, dell’esistenza di un cosiddetto rogito pilota del 1983 a cui sono allegate le planimetrie di tutti i piani del fabbricato con l’individuazione di tutti i subalterni, sub. 144 ovviamente compreso, delle quote millesimali di ciascuno e delle parti comuni. Trattandosi dunque di un atto pubblico di dimostrata provenienza anche le planimetrie di tutti i piano del rogito pilota rientrano, sempre a mio avviso, tra quelli da annoverare.

La planimetrie catastale del sub. 144, presentata nel 1983 e allegata all’atto di provenienza, non evidenzia l’esecuzione di modifiche interne effettuate sui tre subalterni d’impianto, perciò quale potrebbe essere la difformità da prendere in considerazione, ammesso e concesso che le planimetrie d’impianto prevalgano gerarchicamente sul rogito pilota, forse la mancanza di una pratica edilizia di accorpamento?.

La Bucalossi risale al 1977, nell’anno successivo venne introdotto l’art. 48 Legge 457/78 (Disciplina degli interventi di manutenzione straordinaria) cui fece seguito l’art. 7 del D.L. 9/1982, convertito in Legge n. 94/1982, sicché, salvo mio errore interpretativo, l’eventuale pratica di accorpamento sarebbe dunque rientrata nella procedura di autorizzazione edilizia gratuita con silenzio assenso di 60 giorni.

Tuttavia l’ipotetica omissione dell’accorpamento poteva essere sanata sia con l’art. 48, ossia la Relazione presentata, che con l’art. 26 ex. Legge 47/85, vedasi su tutte possibili interpretazioni la Circ.Min. LL.PP. 17/06/1995, n. 2241/UL, contestualmente alle opere e alle modifiche necessarie per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, senza alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari ossia opere interne.

Oltretutto se la pratica edilizia del 1985 fosse passata indenne dalla diffida, senza nessun dubbio ad oggi, ai fini dello stato legittimo, rimarrebbe da regolarizzare la maggior superficie, l’ampliamento del bagno rispetto a quello ivi rappresentato, punto.

Per quanto ampiamente esposto, a mio modesto parere, in questo caso, una CILA TARDIVA (ahimè erroneamente detta anche in sanatoria) per l’ampliamento effettuato senza titolo del bagno, già oggetto della pratica del 1985, è sufficiente a regolarizzare la situazione di fatto così come fedelmente rapresentata nella planimetria catastale anno 2010, conservati peraltro i principi RATIONEN TEMPORIS e TEMPUS REGIT ACTUM.

Dove sbaglio a non considerare solo le tre planimetrie d’impianto, come se fossero le tavole della legge, dando pari dignità ad altre fonti di desunzione di legittimità?

Grazie per la pazienza.