Carissimi tutti,
riflettevo sul fatto sulle differenti visioni nell’afftontare la materia tecnica. Carlo ha una visione che definerei “umanistica” della materia, pensa cioè che in questa materia l’esperienza e la competenza personale sia tutto, fino al punto da ritenere di poter essere esonerato dal dover “dimostrare” le proprie tesi. Per dirla in parole povere (e un po’ brutalmente, ma solo per far capire) lui dice: il confine è qui perché te lo dico io che ho un’esperienza di oltre 35 anni su questa materia; non serve che ti dimostri il perché.
Io invece ho una visione “scientifica” che mi deriva dalla passione per la matematica applicata alla topografia. Ma attenzione, non sto affatto dicendo che l’esperienza e la competenza acquisita sul campo non siano fondamentali, anzi, le considero indispensabili come le consideriamo tutti. Tuttavia io sostengo che, per quanta esperienza uno possa vantare, le sue tesi le deve comunque “dimostrare”.
Ai corsi online sulle riconfinazioni ho letto commenti come questo (ve li posso mostrare con nome, cognome e Comune di residenza): sono 30 anni che svolgo incarichi di riconfinamento, ma dal corso mi sono reso conto che ho sempre commesso errori, anche gravi, di cui mi rendo conto solo ora.
Questo dimostra che l’esperienza da sola non basta, si deve sempre e comunque dimostrare il proprio operato.
Carlo a volte sembra invece convinto di poter esserne esonerato.
Prendiamo il punto su cui ci siamo trovati in disaccordo in questa discussione, lui ha concluso i suoi interventi dicendomi:
A parte Pothenot che non c’entra assolutamente niente, io ho invece dimostrato fin da subito l’inattendibilità del fabbricato mappale 47, l’ho fatto con la rototraslazione ai minimi quadrati (elaborata insieme a Loris) con la quale ho evidenziato in maniera inconfutabile che quel fabbricato dà uno scarto di 2 metri se viene messo in relazione ad altri punti di inquadramento che invece danno scarti di appena 20 cm.
Agli appunti di Carlo circa la distanza, pari a 2 km, di tali punti, ho risposto che, a mio avviso, 2 km sono una distanza sicuramente non breve, ma nemmeno così grande da inficiare la soluzione adottata (ho infatti ricordato che 2 km è la larghezza di un unico foglio di mappa).
Ora questa mia dimostrazione può piacere o non piacere. Si può ritenerla valida o del tutto errata. Ma non mi si può dire di non aver dato la dimostrazione di quanto sostengo.
E, sempre per la mia visione “scientifica”, dico anche che, per contestare questa mia dimostrazione, bsogna fornirne un’altra che la sconfessi. Non mi si può dire, come invece ha fatto Carlo, che la mia dimostrazione non vale “a prescindere” perché i punti di inquadramento sono fuori zona. Se si sostiene questo, bisogna allora dimostrare che esiste un’altra possibilità che utilizza invece punti nella zona ristretta del confine, e bisogna anche esporre l’applicazione concreta di tale possibilità.
Carlo questa dimostrazione non l’ha fornita. O meglio, ci ha provato dicendo che la verifica di Loris sui corsi d’acqua nella zona del confine avvalora la sua tesi della traslazione di 2 metri in senso Nord del fabbricato. E per sostenere questa tesi ha fatto riferimento ad un unico punto sull’argine di ciascun corso d’acqua in allineamento con il confine, ignorando sia il ponte a Nord (unico elemento d’impianto stabile tuttora presente) sia l’andamento dei corsi d’acqua stessi.
Io ho definito una “follia” questa sua interpretazione, e mi scuso ancora per il termine del tutto inappropriato e fuori luogo. Tuttavia ribadisco che da uno dell’esperienza di Carlo non mi sarei mai aspettao una simile uscita.
Dopodiché, anche qualora passasse la tesi della traslazione di 2 metri del fabbricato mappale 47, Carlo avrebbe anche dovuto dire quale schema di rilievo e di calcolo avrebbe adottato per ricostruire il confine appoggiandosi a quell’unico fabbricato “riabilitato” dalla tesi di cui sopra. Ma Carlo non ha fornito nemmeno questa soluzione, limitandosi a dire che “ci deve pensare Loris” sulla base di questa sua indicazione di principio.
Ecco questa è un’altra grande questione che mi divide da Carlo, cioè quella di dare delle indicazioni di principio (giustissime e doverosissime, sia chiaro) senza poi da queste far discendere la soluzione concreta, lasciando spesso tutto a mezz’aria.
Io invece penso che, ribaditi sempre i concetti e i principi di base (che io e lui condividiamo da sempre), bisogna poi scendere nel dettaglio e dire come si risolve concretamente ciascun caso esaminato, nel rispetto di quei principi.